
Un altro rimpianto d’amore
Vi racconto una storia, un altro rimpianto d’amore. Ma dell’amore di un’amica.
Facevo il grafico pubblicitario, primo anno di superiori. Eravamo una classe affiatata, e si era creato un bel gruppetto.
Un compagno di classe si era appena lasciato per mettersi con una ragazza che faceva moda. L’istituto era molto grande, comprendeva diversi indirizzi professionali. All’ora di ricreazione la ragazza stava con noi, ed è così che la conobbi.
La chiameremo Dinamite.
Aveva una bellezza particolare, non la classica bellezza canonica, ma qualcosa che attirava l’attenzione. Complice era il suo modo di vestire. Ed il modo in cui camminava. Ogni suo passo descriveva personalità e sicurezza. Camminava per i corridoi e sembrava che sotto i piedi avesse una passerella.
Le piaceva essere ben vestita. Niente zaini per lei, solo borse enormi di marca, piene di quaderni e penne.
Aveva sempre la battuta pronta. La critica sempre in punta di lingua. Si fondevano così bene che non capivi se ti stesse prendendo in giro o facendoti una critica. Una mente brillante. Se aveva qualcosa da dire, te la diceva in faccia.
Inutile dire che siamo diventate super amiche in poco tempo.
Col tempo, si lasciò con il compagnetto di classe, ma il legame tra noi rimase, anzi, si solidificò. Con lei mi divertivo da morire. Stavamo sempre insieme. Era una folle, e io più di lei. Autostop in mezzo alla notte, viaggi improvvisati, sere alcoliche senza eguali. Mai nella vita ho fatto tanti danni, tutti con lei. Rideva di cuore, sempre.
Poi ho avuto un’idea. Una pessima idea.
Un’idea che rovinò la vita a una ragazza bellissima, intelligente, con un grande futuro.
Ma forse era destino. E io ne facevo parte.
Le feci conoscere un ragazzo del mio paese. Lo chiamerò Cerbero.
Come i cani infernali. Perché lo era.
Era anche il mio vicino di casa. Lo conoscevo da anni. Non era perfetto, ma mi era sempre sembrato bisognoso di Amore.
È proprio vero: le persone non le conosci mai fino in fondo.
All’inizio andò tutto bene. Era perfetto. Per qualche mese.
Poi, all’improvviso, cambiò.
Geloso. Possessivo.
E poi un giorno fu chiaro che non avevo idea di chi fosse veramente.
Perché alzò le mani su una ragazza così piccola, lui essendo un gorilla.
Lei non lo lasciava. Si difendeva, ma non lo lasciava.
Io ormai lo detestavo.
Sono sempre stata molto protettiva. Per le mie amiche darei tutto, è qualcosa di istintivo è un qualcosa che mi definisce.
Una volta ero con lei quando ci seguì.
Eravamo uscite insieme, e lui, paranoico, ci pedinava.
Alla fine lei, esasperata, gli urlò contro. Gli disse che non stava facendo nulla di male e che doveva andarsene. Si sedettero a discutere davanti a un portone di ferro.
Finì come sempre: alle mani.
Lui le sbatté la testa contro la ringhiera della porta. Lei gli graffiò il viso, tanto da farle uscire il sangue.
Io non riuscii a restare ferma. Li separai immediatamente.
Lui mi guardò fisso, con il muco che usciva -Una scena terribile - e disse:
"Diglielo che non l’ho toccata."
Un folle. Io avevo visto tutto.
Passò poco più di un anno.
Poi, all’apice della follia, la lasciò sanguinante fuori casa.
Cellulare e parabrezza spaccati.
E citofonò alla madre: "Vieni a prenderti la zoccola di tua figlia."
Finalmente Dinamite aveva denunciato.
Ma la verità?
Non durò molto.
Era bravissimo con le parole. E lei aveva perso il lume della ragione.
Arrivò l’ultima volta in cui io fui presente.
Era sopravvissuta per miracolo a un incidente. La cintura di sicurezza le aveva stretto così forte l’addome che l’intestino le era scoppiato. All’ospedale non se ne erano accorti, la stavano dimettendo. Ma si rifiutò.
Il dolore era insopportabile per lei.
Le avevano aperto la pancia d’urgenza.
Una brutta cicatrice, che prendeva tutta la pancia, le rimase come ricordo.
Quel giorno eravamo in un piccolo bar, in un paese antico di origine etrusca dove eravamo abituati ad uscire, che si affacciava davanti alla strada principale.
E lui arrivò.
Entrò nel bar.
Le diede della p¥ttana sussurrandogli all' orecchio.
"Tanto sei una sfregiata di merda. Non ti vuole più nessuno."
Dinamite scoppiò in lacrime.
Davanti a quattro sconosciuti che mai, nella vita, avrebbero dovuto vederla piangere.
Lui uscì. Andò a prendere la macchina.
Io lo aspettavo in strada.
Doveva ringraziare che non avevo niente a portata di mano sennò le mie gambe.
La rabbia era troppa. E a me Dio mi ha dato ottimi riflessi.
Mentre accelerava, senza pensarci, gli diedi un calcio perpendicolare allo sportello.
Fortissimo.
Inchiodò di colpo.
Io mi sentivo Thor, non lo so dove ho tirato fuori quella forza.
Ne partì un altro. E un altro ancora prima ancora che lui scendesse dalla macchina. Sentivo il dolore di Lei e lo volevo fare fuori.
Volevo solo che quella macchina si rigirasse.
Ovviamente non sono un supereroe. Ma la macchina nuova, quella sì, gliela abbozzai per bene.
Scese.
Furioso.
Mi guardò con occhi da assassino.
Io gonfiai il petto. Un metro e sessantasette di rabbia e orgoglio.Non avevo paura.
Meglio morire da leone, che abbassare lo sguardo davanti a un cane infernale.
Gli dissi:
"Visto che alzi le mani a lei, adesso che ti ho abbozzato la macchina, dammele a me."
La verità?
La genetica non mente.
E da dove vengo io, siamo abituati a giocare col fuoco.
Lui mantenne l’atteggiamento.
Ma si guardò intorno.
Vide il mio nuovo fidanzato, i suoi amici.
Vide gli sguardi.
-Incredibile che ero io a tirare fuori quell' essere immondo con tanti uomini intorno.-
Si avvicinò a Dinamite.
Cominciò a insultarla.
Io lo presi per la maglietta, per il bordo come fosse un cane e avesse un collare.
Lo strattonai fuori dal bar. Avevo tanta rabbia che riuscì a spingere un metro e 90 di Uomo.
Se ne andò.
Ma la storia tra loro non finì quel giorno.
La mia con loro, sì.
Dopo qualche giorno, lei era di nuovo con lui.
Non ce la facevo più. Non riuscivo a guardarla mentre si distruggeva. Non riuscivo a sentire quel dolore, quel pozzo.
La lasciai sola.
Alla fine, lei riuscì a liberarsi di quella gabbia.
E tornammo amiche.
Ma non era più la stessa.
Nei suoi occhi c’era dolore.
Insicurezza.
Sfiducia.
Paura.
Non rideva più di cuore.
E sapete la verità?
Mi sono sempre sentita responsabile.
Perché gliel’avevo fatto conoscere io.
Ma soprattutto perché l’ho lasciata sola.
Vi racconto questa storia perché?
Perché la storia si sta ripetendo.
Ma stavolta, non me ne andrò.
Questa volta riguarda una persona con cui ho un legame profondo.
Una persona con cui ho sperimentato la vera amicizia. Che in un paese di persone refrattarie al nuovo, lei era luce. Non permetterò che la spenga
Questa volta ci riuscirò.
To be continued.
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